Com’è possibile che i supermercati vendano bottiglie d’olio extravergine di oliva a 3 euro? Una cifra molto al di sotto del costo reale di produzione di un litro d’olio evo, alimento insostituibile della dieta mediterranea, ricco di benefici per la salute, grazie alla sua nota attività antiossidante.
Il prezzo può aiutarci a capire se siamo di fronte ad un olio evo oppure no? Per saperlo, bisogna partire da un dato importante 4.90€/Kg è il costo franco azienda – presso il frantoio – a cui bisogna aggiungere il costo della bottiglia, dell’etichetta e della distribuzione.
Alcuni numeri sul settore dell’olio d’oliva
Altri dati importanti che bisogna conoscere per capire se l’olio extravergine può essere venduto a 3 euro riguardano le cifre di produzione, consumo ed esportazione del settore olivicolo italiano:
- 315.000 sono le tonnellate di olio prodotte dall’Italia, secondo le stime di ISMEA;
- 600.000 sono le tonnellate di olio consumate a livello nazionale, secondo le stime di Assitol;
- 400.000 le tonnellate di olio italiano esportato all’estero.

Numeri alla mano, è evidente che la produzione italiana di olio non è sufficiente a coprire né il fabbisogno nazionale né la domanda estera, quindi, quando al supermercato troviamo olio extravergine di oliva a 3€, cosa stiamo comprando esattamente? I casi possono essere tre:
- olio non italiano, di provenienza comunitaria oppure una miscela di oli comunitari ed extracomunitari;
- olio della raccolta precedente, in promozione per svuotare i magazzini in vista della nuova campagna olearia;
- olio extracomunitario venduto come comunitario (dopo un passaggio in Spagna o Malta), oppure oli rettificati venduti come olio extravergine di oliva; in entrambi i casi, siamo di fronte a reati di frode o adulterazione.
Il prezzo è il primo campanello d’allarme che dovrebbe generare qualche sospetto: se è troppo basso, in genere inferiore a 6,50 € dobbiamo dubitare che sia vero olio extravergine di oliva italiano.
Che differenza c’è tra i vari tipi di olio?
Quanti tipi di olio esistono? In commercio esistono diverse categorie di olio di oliva che vengono definite a seconda del processo di estrazione e delle caratteristiche chimiche ed organolettiche. I più comuni sono tre:
- olio extravergine di oliva: è l’olio senza difetti, con aroma fruttato e gusto amaro e piccante un livello di acidità inferiore a 0,8% ;
- olio di oliva vergine: è l’olio con difetti appena percettibili e un’acidità compresa fra 0,8 e 2%;
- olio di oliva: composto da una miscela di oli di oliva raffinati e oli di oliva vergini.
Perché sono importanti il livello di acidità e le proprietà organolettiche? Perché da queste dipendono la qualità e l’integrità dell’olio e molto spesso i grandi marchi vendono olio vergine spacciandolo per extravergine.
Come fare a sapere che tipo di olio stiamo comprando? Come sempre, non bisogna fidarsi dell’etichetta frontale, ma girare la bottiglia e leggere la contro etichetta: se c’è scritto olio extravergine di oliva ottenuto da olive comunitarie significa che la materia prima proviene da un altro paese dell’Unione Europea; se invece c’è scritto miscela di oli comunitari ed extracomunitari vuol dire che le olive o gli oli sono in parte di provenienza extraeuropea.
Perché l’olio evo sottocosto non esiste?
In una bottiglia d’olio evo non c’è solo una spremuta di olive, ma il succo di un intero anno di lavoro fatto di sforzi e sacrifici, soprattutto nel caso degli oliveti tradizionali situati in terreni impervi e zone difficilmente accessibili.
Chi produce olio sa benissimo che venderlo a meno di 8 o 9 euro il litro significa coprire a mala pena i costi di produzione. E chi compra, sa quante e quali sono le operazioni necessarie per produrre una bottiglia di “oro liquido”?
- Gestione del suolo e concimazione quando necessaria;
- potatura;
- irrigazione in caso di siccità eccezionale;
- raccolta (attrezzatura e manodopera);
- trasporto al frantoio;
- molitura;
- imbottigliamento;
- distribuzione.
Queste sono le operazioni fisiche – con i relativi costi – a cui bisogna aggiungere il carico mentale che comporta la gestione di un oliveto e che riguarda situazioni climatiche imprevedibili come:
- le gelate tardive,
- la grandinate estive,
- l’umidità e le temperature che agevolano il proliferare della mosca olearia,
- le piogge intense pre-raccolta.
Senza entrare nel merito delle “leggi del mercato”, queste sono solo alcune delle «variabili costanti» che preoccupano ogni anno chi si dedica all’agricoltura in generale e all’olivicoltura in particolare. Perciò, una cosa è il prezzo a cui viene venduto l’olio e un’altra ben diversa è il costo necessario a produrlo e molto spesso queste due voci non coincidono.

Quando gli olivicoltori decidono di svendere il prodotto accettando prezzi bassi lo fanno spinti dallo stato di necessità per riuscire a recuperare almeno in parte gli ingenti costi sostenuti durante un anno di lavoro.
Il cibo sottocosto non esiste, perché c’è sempre qualcuno che paga il costo che noi non vediamo. Dietro la moda del sottocosto si nascondono: materie prime scadenti, sfruttamento della manodopera, frodi o adulterazioni e inquinamento ambientale. Invece di parlare di sottocosto, bisognerebbe iniziare a parlare di esternalizzazione dei costi.
Nessun alimento dovrebbe essere venduto sottocosto, perché il costo reale che non stiamo pagando noi, lo sta pagando pagando qualcun altro, di solito altre persone e l’ambiente.
Fai una scelta consapevole: compra direttamente da chi produce olio
Quando la grande distribuzione svende olio extravergine di oliva al di sotto dei costi di produzione sta dando il colpo di grazia ad un settore fondamentale dal punto di vista economico, ambientale e sociale e sta facendo passare l’idea che un alimento di qualità possa avere lo stesso prezzo di una bottiglia di coca cola.
Comprare olio “extravergine” al supermercato per soli 3 euro significa:
- condannare gli oliveti tradizionali all’abbandono e cancellare l’identità agricola di paesaggi interi, perché una coltura che non garantisce il giusto reddito è destinata all’abbandono;
- affossare l’economia di aziende familiari, considerate “marginali“, ma che in realtà rappresentano il 63% dell’olivicoltura nazionale;
- dipendere sempre di più dalle importazioni di olio a basso costo dall’estero.

Si fa presto a dire che gli oliveti tradizionali sono parte integrante del nostro paesaggio, della nostra storia e della nostra identità sociale e culturale e che rappresentano ecosistemi di biodiversità da salvaguardare, quando poi si scarica tutto il peso della loro conservazione sulle spalle dei piccoli olivicoltori.
Si fa a presto a dire che l’olivicoltura rappresenta un motore economico e occupazionale nelle regioni del sud, quando poi il settore viene abbandonato a sé stesso in balia delle leggi del mercato.
Si fa presto ad esaltare il made in Italy, però – quando si tratta di adottare politiche ambiziose per il settore agroalimentare- il governo ha altre priorità o addirittura prende provvedimenti che finiscono per penalizzare ancora di piú la filiera agroalimentare italiana.
Agire dalla parte del consumo
E allora cosa fare? Iniziare a fare una spesa consapevole è l’unico modo per riconoscere il valore economico, sociale ed ambientale dell’olivicoltura e comprare direttamente da chi produce è l’unico modo per garantire un giusto prezzo per l’olio extravergine d’oliva. Instaurare una relazione diretta risulta essere fondamentale per:
- sapere che i tuoi soldi vanno a finire direttamente nelle tasche di chi si dedica all’agricoltura, ripagando in modo dignitoso il suo lavoro;
- dare più valore a ciò che porti in tavola;
- renderti conto che produrre olio ha un costo molto diverso da quello “offerto” dal supermercato.

Sarebbe ora di riprenderci in mano i momenti decisivi della commercializzazione del nostro prodotto, creando filiere di vendita con i frantoi a capo di filiere di associazioni di produttori che non si fanno ricattare dagli speculatori delle filiere agroalimentari. Le associazioni di categoria, coldiretti, cia e altre dovrebbero scendere in campo a difesa dei coltivatori, invece di assecondare scelte governative che tutelano grandi aziende in cambio di incentivi assistenziali per le loro organizzazione di settore. Grazie per l’articolo citato.
Esatto! L’unico modo per non svendere un prodotto di qualità è la vendita diretta dell’olio extravergine di oliva. Le associazioni di categoria hanno altro a cui pensare, perciò l’iniziativa deve venire dal basso. Come dici, l’ideale sarebbe una collaborazione fra i primi due anelli della catena locale: la produzione e i frantoi. Andare oltre il proprio orticello e pensare che l’unione fa la forza con ricadute positive per il territorio e per l’economia locale.